LEOPARDATURA
Vediamo perché in alcune pizze avviene l’effetto del cornicione a macchia di leopardo e cosa comporta.
LEOPARDATUTA:
Con temperature elevate come ad esempio 400/480°C, una riduzione dei tempi di cottura della pizza limita la percentuale di amido gelatinizzato con evidenti ripercussioni sulla digeribilità del corrispondente prodotto ottenuto.
L'importanza fondamentale, oltre che dalla temperatura, del tempo di cottura sulla qualità del prodotto viene ad essere confermata anche da studi di accettabilità, effettuati mediante “consumer test”, che hanno messo in evidenza l'influenza del binomio tempo/temperatura sulla qualità della crosta e della mollica.
Ridurre il tempo di cottura con elevate gradazioni di temperatura porta ad una pigmentazione della crosta sul cornicione della pizza (la cosiddetta pizza a macchia di leopardo) che sono la destrinizzazione e caramellizzazione degli amidi, una riduzione dei tempi di cottura che non permette di raggiungere una temperatura adeguata, che va ad incidere sulla qualità sia nutrizionale che organolettica del prodotto finito; nutrizionale in quanto salute.
Bruciare in questo caso una pizza significa produrre delle sostanze molto pericolose chiamate “pirene”.
Il pirene è un idrocarburo aromatico tetraciclico di formula C16 H10.
Questo idrocarburo si forma con le bruciature intense che vengono anche chiamate “macchie leopardate” che in realtà sono dei pigmenti di colore bruno scuro e anche a chiazze piuttosto estese questo perché l'intensità del calore del forno è elevatissimo quando si parla di temperature che superano le 380 fino anche a 450 gradi centigradi. Il cornicione della pizza così bruciato diventa come il catrame di carbon fossile.
Certo non è mia intenzione creare allarmismi ma è pur vero che mangiando grandi quantità di materiale bruciato questo può comportare un potenziale problema di salute. Ma attenzione non ho detto che la pizza è cancerogena ma solo che se dovessimo mangiare notevoli quantità di crosta bruciata può sicuramente esserlo.
La bruciatura della pizza è un composto organico le cui molecole contengono esclusivamente atomi di carbonio idrogeno.
L'effetto del calore sugli zuccheri che compongono l’impasto della pizza può dar luogo a tre processi diversi: caramellizzazione, pirolisi, reazione di Maillard.
Mentre la reazione di Maillard comporta l'interazione di zuccheri riducenti con le proteine (ed in particolare i gruppi amminici) gli altri due processi avvengono per riscaldamento diretto di saccarosio, sciroppi di glucosio.
COSA COMPORTA STENDERE LA PALLINA NELLA PARTE LISCIA O RUVIDA?
Nella tecnica di stendere la pallina girata al contrario per non far assumere alla pizza certe pigmentazioni particolari c’e’ da considerare anche il tenore di umidità e la quantità di maltosio che viene a prodursi, tutto questo forma una sorta di gel e quest'ultimo reagisce con la cottura.
Nella pallina che viene girata al contrario poi bisogna considerare anche il grado di espansione dei gas e all'interno della pallina lo stato di maturazione di questa e la qualità delle farine usate.
La pallina girata non caramellizza facilmente perché l'umidità viene assorbita direttamente dalla farina che viene adottata per la stesura, c'è una migrazione di acqua che va verso il basso, l'acqua e l'anidride carbonica si risolvono o meglio la neve carbonica con il freddo si dissolve nell'acqua e avviene un'attività chimica in cui c'è più peso, quindi l'acqua è più pesante sotto certi aspetti e le pigmentazioni definite leopardate sono delle reazioni troppo eccessive di cottura perché si omette un passaggio molto importante nella reazione di Mayllard che è l'imbrunimento o meglio la caramellizzazione che si ottiene a temperature moderate 200/180°.
L’imbrunimento della crosta che si brucia troppo è dovuto anche alla conservazione delle palline troppo bassa in frigo quindi tanto più è maggiore il tempo di conservazione a basse temperature e maggiore è l'imbrunimento della crosta.
Per il metodo diretto è consigliabile utilizzare un po' di pasta di riporto, una pasta magari precedentemente avanzata della pizza, potrebbe essere utile perché così arricchisce all'impasto stesso di quei microrganismi in grado di utilizzare il maltosio e produrre metaboliti che partecipano alla formazione anche dell’aroma della pizza.
Quando si impasta si inglobano bollicine di aria costituita dal 80% di azoto e circa il 20% di ossigeno: l'ossigeno viene in gran parte consumato dal lievito fino a scomparire del tutto alla fine dell’impastamento, anche se mettete pochissimo lievito ricordate che un grammo di lievito ha 9/10 miliardi di cellule.
Le leopardature vengono causate quando gli impasti vengono lasciati maturare per troppo tempo in frigorifero a basse temperature per una eccessiva produzione di maltosio.
DA COSA E' DOVUTA LA MAKO'?
La puntinatura tipica del cornicione della pizza napoletana e' data :
1) dalla maturazione corretta dell'impasto.
2) dalla sufficiente idratazione.
3) dalla 'relativa' tenuta della maglia glutinica
4) dal tipo di cottura utilizzato (forno a legna tipico)
Analizzando tutti i punti sopraelencati l'unico ad avere il 90% di importanza per ottenere la puntinatura e' il numero 4 = forno a legna.
La puntinatura infatti, nella cottura a legna, esce spontaneamente e senza fatica se il forno ha un bel fuoco vivo, ma soprattutto se il cornicione viene fatto ben girare vicino alla brace o ad un lato del forno in cui i mattoni siano a temperatura superiore a 400 gradi.
In questa condizione anche un impasto 'sbagliato' produce una pizza con puntinatura.
Per ottenere la puntinatura nel forno elettrico si possono usare molti trucchi e stratagemmi.
Vorrei far tirare un respiro di sollievo a tutti gli amici che si ostinano a voler realizzare una pizza 'esteticamente' puntinata come una napoletana poiche' la puntinatura nell'elettrico oltre ad essere difficile da ottenere, non e' assolutamente sinonimo di ottima pizza.
COME OTTENERE UNA MAKO DA URLO:
Secondo la mia personale esperienza, i fattori che concorrono alla formazione della puntinatura sono (in ordine di importanza):
1. Corretta maturazione dell’impasto (se l’impasto non è bello maturo la mako ce la possiamo scordare: e qui entra in gioco la sapiente miscelazione di acqua, tipo di farina, sale e lievito avuto riguardo anche alle condizioni ambientali)
2. Alta idratazione (zero mako se abbiamo impastato un “biscotto”)
3. Maglia integra (più l’impasto collassa più la mako si rarefà)
4. Temperatura del forno (> temperatura del forno > è la VELOCITÀ con cui la mako si manifesta), ritenuto peraltro che occorra una temperatura minima (che per il mio forno situo ad almeno 400 gradi)
5. A parità di condizioni un impasto più freddo una volta lavorato risulterà più puntinato rispetto a uno a temperatura normale.
Ciò starebbe a significare che uno sbalzo termico accentuato aumenta la puntinatura.